Il convento di San Francesco a Folloni deve il suo nome al luogo dove, a quanto sembra, fu fondato dallo stesso San Francesco d’Assisi, di passaggio verso il santuario di San Michele sul Gargano, nel gennaio 1222 (il bosco di Folloni). Sembra che allora il Santo avesse lasciato alcuni suoi confratelli nel bosco infestato dai briganti perché vi realizzassero la prima chiesetta, dedicata alla S.S. Annunziata.
La prima chiesetta duecentesca doveva trovarsi ove ora si trova l’edificio che ospita le celle dei frati. Nel XV secolo viene realizzata la seconda chiesa, che si trovava ove ora si trova il chiostro di accesso al convento, ad una nave con numerose cappelle laterali. Tra la chiesa duecentesca, integrata nel convento, e quella quattrocentesca venne poi realizzato il refettorio, attuale biblioteca.
L’odierno complesso architettonico è frutto di un rinnovato intervento edilizio della metà del Settecento. I lavori consistettero nella costruzione di una nuova chiesa in stile barocco-rococò, ruotata di circa 90º rispetto alla precedente e realizzata più alta di 180 cm. Della chiesa tre-quattrocentesca rimane l’esonartece, ora portico di ingresso al convento, l’abside, oggi Cappella del Crocifisso, che di fatti si trova ad un livello inferiore, e il campanile che conserva l’impianto della seconda metà del XV
secolo. Allo stesso programma edilizio appartiene il chiostro, interposto ai due ambienti precedenti, che ha occupato il luogo dell’antica chiesa, sin dal Trecento annessa al chiostro, oggetto della recente indagini di scavo.
Tutta la restante parte della fabbrica è relativa agli spazi conventuali amministrati dai Frati Minori Conventuali, insistenti anch’essi su aree frequentate già dalle prime comunità religiose.
Nella chiesa settecentesca, di grande pregio gli stucchi di Francesco Conforto e il pavimento maiolicato datato 1750. Nella sacrestia, il sarcofago di Diego I Cavaniglia, conte di Montella morto nel 1480 nella battaglia di Otranto, opera di Jacopo della Pila. Incastonata nel pavimento del lato Est del transetto, la lastra sepolcrale della contessa Margherita Orsini, moglie del conte Cavaniglia, morta nel 1521. A destra dell’altare della chiesa, nella Cappella del Crocifisso, sono conservati gli ultimi frammenti del sacco, che secondo la leggenda contenne il pane che San Francesco inviò per i suoi frati tramite gli angeli, per sfamarli dal rigido inverno per conoscere meglio questo racconto è possibile leggere la scheda di approfondimento dedicata.
Annessa al museo è la Biblioteca. Istituita nel XV secolo, fu saccheggiata dopo la soppressione del convento in epoca napoleonica. Ripristinata negli anni trenta
del secolo scorso, ospitata nella sala cinquecentesca dell’ex refettorio, conserva opere edite in Italia e all’estero dai primi del Cinquecento a tutto il Settecento. Conserva attualmente circa 20.000 volumi.
Il Chiostro del Convento di s. Francesco è a due ordini ed è stato realizzato nel cinquecento da maestranze locali in breccia irpina. Quello attuale non è il sito originale poiché durante i lavori di ristrutturazione dell’intero complesso eseguiti a cavallo tra la prima e la seconda metà del 1700 fu smontato dal chiostro della cisterna e situato dove si trova attualmente, occupando la navata della chiesa duecentesca. Il chiostro è molto raccolto ed è apprezzata la sua eccellente acustica, motivo per cui durante l’estate vi si organizzano manifestazioni artistiche di vario genere.
Nel 2004 grazie alle ricerche di Fra’ Agnello Stoia, guardiano del Convento, si viene a conoscenza del fatto che nel 1980, durante i lavori di consolidamento successivi al Terremoto dell’Irpinia, alcuni operai avevano rinvenuto uno scheletro nei pressi del sarcofago che avevano avvolto in una busta di plastica e riposto in una cavità del muro retrostante il monumento di Diego I. La busta con i resti e con gli indumenti funebri viene ritrovata nello stesso posto in cui era stata riposta. La notizia ha grande risalto e si avvia una
campagna di ricerca per accertare l’appartenenza dei resti al Conte Diego I Cavaniglia, feudatario di Montella dal 1477 al 1481, morto nella battaglia di Otranto contro i Turchi. Il restauro degli indumenti affidato alla dottoressa Lucia Portoghesi rivelò che si trattava di una giornea e di un farsetto del XV secolo, confermando l’enorme importanza a livello internazionale della scoperta. Lo studio dello scheletro viene affidato alla Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, che confermò che i resti appartenevano ad un individuo di sesso maschile, di circa trent’anni, alto pressappoco 175 cm e di prestante struttura fisica; tutti elementi che, accanto ai risultati di osservazioni e analisi più complesse, basate anche su precedenti analisi del DNA dei componenti della corte aragonese, hanno permesso l’attribuzione dello scheletro rinvenuto nel convento di San Francesco al conte Cavaniglia.
Nella attuale sacrestia si trova il sarcofago di Diego I Cavaniglia, realizzato dallo scultore Jacopo della Pila per volere della vedova, è stato adottato a monumento degli innamorati.
La contessa vedova Margherita Orsini, infatti, nonostante fosse stata costretta a risposarsi, alla sua morte, nel 1521, volle essere sepolta accanto al primo marito, ai piedi del suo sarcofago (la lapide della contessa venne poi spostata a seguito dei
lavori del XVIII secolo e posizionata nell’ala destra del transetto, dove si trova attualmente).
Lo schema di riferimento per il sepolcro di Diego, sempre per la critica più recente, andrebbe riconosciuto nella tomba del vescovo Piscicelli della cattedrale di Salerno, opera documentata del della Pila: in entrambi i casi il giacente posto su una cassa decorata con clipei inghirlandati coronata da un baldacchino e sostenuta da virtù cariatidi. Qui a Montella i rilievi nei clipei raffigurano San Pietro, la Madonna col Bambino e sant’Antonio, e le cariatidi la Prudenza con il tradizionale serpente (il serpente deriva da Matteo (10,16), “…siate dunque prudenti come i serpenti”), la Giustizia con la spada e il globo (la spada è l’emblema del potere di questa virtù, il globo simboleggia il suo dominio sul mondo) e la Temperanza con le anfore (nel Medioevo il temperante era colui che si asteneva dal bere; perciò questa virtù era già da tempo rappresentata da una figura femminile che versa un liquido da un’anfora in un’altra mescolando il vino con acqua). A mano ed epoca del tutto diverse apparterrebbero, invece, i due angeli reggicortina.